La storia dell'ulivo e dell'olio di oliva

La storia dell'ulivo e dell'olio di oliva

Dalle origini mitologiche alla storia moderna, tutto quello che c'è da sapere per conoscere le radici dell'olio extravergine di oliva

L’olio di oliva è uno degli ingredienti principali della cucina mediterranea. Gli alberi di ulivo, che sono parte integrante del territorio italiano e soprattutto del paesaggio pugliese, rappresentano un simbolo della nostra storia, imponenti testimoni millenari di tradizione, cultura, gastronomia.

L’ulivo è una pianta capace di vivere per millenni, rinomata per le sue proprietà e per il suo simbolismo, proviamo quindi a conoscere insieme la sua storia e quella della sua coltivazione in Puglia.

LA MITOLOGIA

Già nella mitologia e nei poemi epici troviamo l’ulivo come simbolo di trionfo e dono prezioso.

Atena, sfidando Poseidone a donare la cosa più utile agli uomini, pianta la sua lancia nel suolo facendo crescere il primo ramoscello d’ulivo.

Ercole raccoglie un ulivo ai confini del mondo per far nascere un bosco sacro a Zeus, dalle cui fronde sarebbero poi stati ricavati i rami da intrecciare per le corone gloriose donate ai vincitori dei giochi olimpici.

Sia nell'Iliade che nell'Odissea si narra spesso dell'ulivo e dell'olio, definito da Omero "liquido d’oro”, e proprio nel tronco di un albero di ulivo Ulisse scolpisce il suo talamo nunziale, ben ancorato al suolo da tortuose radici, intorno al quale successivamente costruisce la camera e il palazzo.

L'ORIGINE

Le prime piante selvatiche esistevano sull'isola di Creta fin dal 4000 a.C. e furono proprio i cretesi i primi a specializzarsi nella coltivazione dell’ulivo, dando il via poi all’esportazione in tutto il bacino del Mediterraneo.

Per quanto riguarda la raccolta, sono i greci a porre le fondamenta: le olive venivano raccolte a diversa maturazione in base allo scopo per il quale si voleva utilizzare il prodotto finito. La raccolta era sempre a mano, staccando delicatamente le olive dal ramo.

Plinio il Vecchio, invece, narra che l’ulivo venne introdotto a Roma sotto il regno di Tarquinio Prisco, nel 581 a.c., per diffondersi poi in tutta la Penisola.

La prima spremitura, fatta con le olive ancora verdi e senza rompere i noccioli, dava un prodotto di qualità eccellente. Una seconda spremitura delle stesse olive, forniva un olio ricco di morchia. I residui del frantoio, infine, venivano utilizzati per vari scopi: balsamo per i massaggi, combustibile per le lampade, pasta per la pulitura di oggetti di uso comune, unguento per le corde.

Nell’Antica Roma l’ulivo era dedicato a Minerva e a Giove, ed era uso onorare cittadini illustri con corone di fronde, riprendendo il valore simbolico della gloria.

Anche gli sposi venivano incoronati nel giorno delle nozze e persino i defunti venivano inghirlandati con l’ulivo, per simboleggiare la vittoria nelle lotte della vita.

Gaio Plinio Secondo fu tra i primi a fare una classificazione varietale dell’ulivo e quindi dell’olio, che fu utile ai romani per ottimizzare la produzione, facendo attenzione alla variabilità della qualità dell’olio, alle tecniche di raccolta delle migliori olive, fino alla classificazione per la vendita.

La classificazione era così suddivisa:

  1. oleum ex albis ulivis - proveniente dalla spremitura delle migliori olive verdi
  2. oleum viride - proveniente da olive raccolte a uno stadio intermedio di maturazione
  3. oleum maturum - proveniente da olive mature
  4. oleum caducum - proveniente da olive raccolte a terra
  5. oleum cibarium - proveniente da olive bacate, che era destinato all'alimentazione degli schiavi.

IN PUGLIA

Le prime scoperte relative all’ulivo in terra pugliese risalgono al periodo Neolitico (5000 a.C.), con una concentrazione di alberi provincia di Bari e Brindisi, ma probabilmente furono i Messapi i primi a piantare alberi d’ulivo destinati a diventare parte della storia regionale.

In Puglia si registra la presenza di numerose piante secolari e di diversi ulivi millenari, a conferma che il microclima pugliese è sempre stato favorevole a produzioni di qualità. L’ulivo è una pianta sempreverde che necessita di ambienti aridi e soleggiati, la giusta quantità di acqua e umidità, un terreno ricco di sostanze nutrienti.

Con i greci e soprattutto i romani, la coltivazione dell’ulivo e la produzione dell’olio diventa un pratica diffusissima nel territorio pugliese, i romani concentrano qui la gran parte della produzione dell’olio alimentare: ottimizzano la coltivazione, creano frantoi e iniziano intensi scambi commerciali.

Dopo il fiorente periodo romano, con la caduta dell’Impero si ha un decremento della produzione e della qualità, ma negli anni successivi, grazie alla tenacia e alla lungimiranza dei monaci, si dà un nuovo impulso allo sviluppo dell’olivicoltura e della produzione dell’olio di oliva.

I monaci Basiliani furono i primi a ridare forza alla coltivazione degli ulivi e potenziarono la produzione di olio ottimizzando i frantoi esistenti e creando i trappeti ipogei. Grotte scavate nella roccia, annesse agli oliveti o inseriti nelle masserie, dove il flusso di aria e di luce consentiva di avere temperature idonee per la lavorazione delle olive.

Nell’Alto Medioevo il lavoro dei frantoi pugliesi diventa sempre più consistente, portando la regione a diventare uno dei maggiori centri produttivi di olio di tutto il territorio italiano.

In documenti del 1371 sono riportate le autorizzazioni reali per l’attracco di navi che avrebbero trasporto olio d’oliva per la vendita, conservato in otri di pelli di capre, mentre nel Quattrocento i frati Cistercensi e Olivetani ampliano la coltivazione innestando gli olivastri cresciuti spontaneamente.

La grande produzione crea un commercio fiorente e i porti della Puglia diventano ben presto meta di navi commerciali, nascono magazzini specializzati per lo stoccaggio ad uso dei mercanti veneziani, genovesi, toscani, russi, inglesi e tedeschi. Nel 1559 il viceré spagnolo Parafran De Rivera impose la creazione di una strada di collegamento tra Napoli e le principali città della Puglia, per consentire un trasporto rapido dell’olio di oliva.

Seppur nel 1600 si abbia un arresto della produzione a causa di una crisi che coglie tutto il Mezzogiorno, conseguente ai cambiamenti climatici che colpiscono l’Europa intera, nel secolo successivo la coltivazione dell’ulivo e la produzione di olio tornano stabili e la qualità dell’olio pugliese torna a predominare. Una ripresa dovuta anche alle capacità agronomiche della popolazione, che grazie a potature e innesti riescono a modellare gli ulivi e dare ordine alla coltivazione, aumentando la resa delle piante e ottimizzando i costi di raccolta.

Nel 1700 alcuni documenti sottolineano una netta distinzione tra l’olio pugliese e quello prodotto in altre zone: il primo era considerato il più pregiato per l’uso alimentare, mentre le altre produzioni, denominate “oli di Levante”, erano usate per l’illuminazione, per lubrificare le attrezzature e per lavare la lana.

Secoli di storia e duro lavoro che hanno portato l’ulivo a diventare uno degli elementi principali del paesaggio pugliese, un patrimonio naturale senza pari fatto di circa 60 milioni di piante, e l’olio di Puglia a ottenere certificazioni di origine, ultimo dei quali la creazione della denominazione IGP Puglia, e riconoscimenti di qualità in tutto il mondo.

DUE CURIOSITÀ STORICHE

Nel Museo Nazionale di Taranto - MarTA è custodita una importante testimonianze archeologica relativa all’olio: tre antiche anfore di raccolta ritrovate nella tomba del famoso Atleta di Taranto, vincitore alle Grandi Panatanee di Atene, contenenti l'olio ricavato dalla spremitura delle olive degli alberi sacri alla dea Atena.

La più antica bottiglia di olio è stata rinvenuta negli scavi di Ercolano. Il reperto, emerso nei primi scavi di epoca moderna iniziati nel 1738 e rimasto per anni nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli - MANN, è stato analizzato nel 2019, dopo esser stata notato da Alberto Angela durante le riprese di un documentario.

La bottiglia, che contiene un liquido ormai solidificato, risale all’anno dell’eruzione del Vesuvio, il 79 d.C. Inizialmente si era ipotizzato fosse vino, ma uno studio del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli pubblicato sulla rivista NPJ Science of Food del gruppo Nature ha invece confermato che si tratta di olio di oliva puro, di ottima qualità.

 


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